mercoledì 7 dicembre 2011

Aggiornamenti sulla situazione politica ed economica del Paese

- Il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto
"Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio dei ministri, colleghi, le nostre scelte politiche in questo mese così drammatico sono state dominate dalla preoccupazione per la gravissima situazione dell'euro e della finanza europea e per i riflessi che essi potevano avere sull'Italia. Abbiamo pensato alle conseguenze che scelte sbagliate potevano avere sui risparmiatori italiani, su chi lavora come imprenditore, su chi lavora come lavoratore autonomo, su chi lavora come lavoratore dipendente. E per questo, onorevole Presidente del Consiglio, abbiamo dato via libera al suo Governo mentre, in condizioni normali, avremmo scelto le elezioni come via per garantire il libero sviluppo della democrazia nel nostro Paese.Aggiu! ngo anche che rivendichiamo l'azione che il nostro Governo, il Governo Berlusconi, ha svolto, sia sul terreno delle riforme (la scuola, l'università, la pubblica amministrazione, il federalismo fiscale, sia per quanto concerne interventi in tema di politica economica per cui noi abbiamo avuto una diminuzione del rapporto deficit-Pil e un aumento dell'avanzo primario. Noi ci troviamo in una situazione grave; il decreto-legge che è stato preparato appartiene evidentemente tutto all'elaborazione ed alla riflessione del Governo. Diamo riconoscimento, onorevole Presidente del Consiglio, del lavoro svolto in tempi rapidi e brevi.
Non è venuta da noi la sollecitazione, che sarebbe stata demagogica, a lavorare in tre giorni. Certamente, dobbiamo dire che se l'avessimo elaborato noi, non l'avremmo approntato identico. Infatti, ad esempio - si tratta dell'elemento più netto di differenza -, noi non avremmo rimesso l'Ici sulla prima casa che avevamo tolto, provvedimento sul quale esprimiamo la nostra netta riserva. E, per altro aspetto, invece, sulle parti riguardanti la crescita, che sono presenti nel decreto-legge, che avete elaborato sull'impresa e sulle infrastrutture noi troviamo la più netta continuità con il precedente Governo, con quello che era stato elaborato e preparato e diamo atto, quindi, della possibilità di una collaborazione proficua. Signor Presidente del Consiglio,
lei ci ha interpellato e ci ha invitato a riflettere sull'Europa, e questa è la riflessione che questo Parlamento deve svolgere nel momento in cui si misura con provvedimenti che - diciamoci la verità - incidono sulla realtà sociale del Paese, determinano dissensi, che sono anche legittimi, e creano problemi sociali con i quali ci dobbiamo misurare. Facciamo i conti con questa realtà
difficile, tuttavia, nel momento nel quale l'Europa ci interpella, abbiamo, nello stesso tempo, il diritto di interpellare, a nostra volta, l'Europa. Non vi è dubbio, infatti, che sulla situazione non soltanto del nostro Paese, ma di tutti i Paesi europei, grava un problema, e l'interrogativo che ci dobbiamo porre è il seguente. L'intervento così incisivo che facciamo oggi, come quelli altrettanto incisivi che abbiamo fatto nel passato, non corrono il rischio di essere vanificati se, a livello europeo, non ci si misura - e questo dovrebbe essere materia di riflessione per la Merkel e per Sarkozy, che tante lezioni, a proposito e a sproposito, hanno dato nel passato - con il dato strutturale e costitutivo? In materia, lei sa meglio di noi, onorevole Presidente del Consiglio, che non si dà moneta unica se, alle spalle di questa moneta unica, non c'è un Governo omogeneo, non ci sono politiche economiche dei vari Paesi europei omogenee, non c'è una banca di riferimento che non sia quella limitata alle azioni che fa la Bce. Vi sono, invece, i ! grandi modelli, che sono di
fronte a tutti noi. Chi ha alle sue spalle il dollaro? E cosa ha sue spalle la sterlina? In altri termini, l'esperienza del mondo contemporaneo che vede questo punto debole dell'Europa.Dunque, onorevole Presidente del Consiglio, noi ci misuriamo con dati programmatici e con interventi che creano seri problemi sociali ed anche elettorali. Infatti, mi consenta, in democrazia, vi è la legittimità di avere il problema del consenso tra i partiti e l'opinione pubblica, che rivendichiamo come dato costitutivo di questa democrazia e di questa Costituzione, respingendo al mittente coloro che vorrebbero annullare la dialettica democratica fondata sul Parlamento, fondata sui partiti, fondata sul rapporto fra partiti, opinione pubblica e forze sociali. Ebbene, è legittimo chiedere ciò.Noi non stiamo dando vita ad un Governo consociativo: le differenze politiche che esistono fra noi e il Pdl rimangono inalterate... fra noi e il P! d rimangono inalterate. Ma c'è un dato che ci guida: quello di fare i conti con questa realtà europea. Noi ci misuriamo con tutto ciò, ma è necessario, onorevole Presidente del Consiglio, che lei, forte di questo contributo, si misuri, in termini non puramente diplomatici, con una realtà europea che ci crea dei problemi, e con questi problemi strutturali credo che ci dobbiamo misurare.
On. Fabrizio Cicchitto
- Monti vara la manovra. Alfano la spunta sull'Irpef
Il premier Mario Monti ha presentato al Consiglio dei Ministri la manovra correttiva dei conti
pubblici, che ammonta a 30 miliardi di euro, tra tagli alle spese per 12 miliardi e aumenti delle imposte e tasse per 18 miliardi. Rispetto alle indicazioni della vigilia, che volevano misure complessive per 24-25 miliardi, quella varata domenica dal Cdm è stata una manovra più robusta. Il primissimo colpo di scena, contrariamente alle indiscrezioni trapelate fino al tardo
pomeriggio di domenica sera, è stato l'assenza di un aumento delle ultime due aliquote Irpef.
L'idea originaria di Monti era di aumentare le aliquote del 41% e del 43% di due punti percentuali
ciascuna. Ma il segretario del Pdl, Angelino Alfano, aveva avvertito il governo che non sarebbe stato digeribile un inasprimento della tassazione Irpef, che avrebbe colpito i redditi di famiglie e imprese. Prendendo atto che il maggiore partito in Parlamento avrebbe valutato negativamente l'aumento delle aliquote, Monti ha fatto un passo indietro, almeno su questo punto.
Il capitolo più delicato dell'intera manovra resta, tuttavia, quello sulle pensioni. E' stato stabilito che, a partire dal prossimo 1 gennaio, gli uomini andranno in pensione a 66 anni e le donne a 62 anni. Sei mesi in più saranno necessari per i lavoratori autonomi. Rispetto alla precedente legge sono state abolite le finestre mobili di 12-18 mesi; pertanto, nel caso degli uomini l'aumento effettivo è nullo, mentre resta lo scalone per le donne. Per queste ultime l'equiparazione dell'età pensionabile con gli uomini arriverà nel 2018. Nel 2014 l'età minima salirà a 64 anni, mentre nel 2016 a 65 anni, per giungere due anni dopo a 66 anni, finestre assorbite. E, sempre a partire dal prossimo mese, sarà applicato a tutti i nuovi pensionati il metodo di calcolo contributivo pro-rata, che prevede così l'equiparazione di tutti i nuovi trattamenti pensionistici!
In sostanza, chi sulla base della legge Dini godeva ancora della possibilità di andare in quiescenza con il calcolo retributivo (almeno 18 anni di contributi maturati fino alla fine del 1995), adesso conserverà tale beneficio solo per gli anni di lavoro fino al 31 dicembre 1995, mentre per quelli successivi sarà applicato il metodo contributivo.
Per quanto riguarda le pensioni di anzianità il sistema è rivoluzionato. Vengono eliminate le quote, che consentono fino alla fine di questo mese ai lavoratori di andare in pensione in anticipo sull'età di vecchiaia, sulla base della somma tra un minimo di contribuzione e di età anagrafica. Fino al 31 dicembre, ad esempio, resta possibile ancora andare in pensione con almeno 61 anni di età + 35 anni di contributi o con 60 anni di età + 36 anni di contributi (quota 96). Invece, a partire dal prossimo mese, per effetto della manovra, si potrà andare in anticipo sull'età anagrafica prevista solo godendo di almeno 41 anni e un mese di contributi nel caso delle lavoratrici dipendenti o di 42 anni e un mese nel caso dei lavoratori maschi e dipendenti. Per gli autonomi tali requisiti sono inaspriti di sei mesi. In ogni caso, se la pensione di anzianità (si chiamerà «pensione anticipata») sarà goduta prima di avere compiuto almeno 63 anni di età, si subirà una penalizzazione del 3% per ogni anno di differenza da tale soglia minima, calcolata sulla quota retributiva dell'importo mensile.
E' stata poi costituita una fascia di flessibilità, che dovrebbe consentire alle donne e agli uomini di andare in pensione prima dell'età prevista per la vecchiaia, ma con un apparato di incentivi e disincentivi sul trattamento mensile della pensione pari al 2% all'anno. Per le donne la fascia di riferimento sarebbe tra i 62 e i 70 anni, mentre per gli uomini 66-70 anni. Quanto alle rivalutazioni, per gli anni 2012 e 2013 è previsto il blocco solo per gli assegni superiori a 935 euro al mese, vale a dire il doppio del trattamento minimo. Al di sotto di tale soglia le pensioni saranno rivalutate al 100%.
Almeno 5-6 miliardi all'anno, invece, saranno recuperati dalla maggiore tassazione sugli immobili.
Infatti, viene reintrodotta l'Ici sulla prima casa, che nel 2008 era stata abrogata dal governo Berlusconi, con un coefficiente dello 0,4% sul valore catastale dell'immobile, rivalutato del 60% e prevedendo anche una detrazione di 200 euro. Per le seconde case, invece, l'aliquota risulta quasi raddoppiata, attestandosi allo 0,75-0,76%. Gli introiti dalla prima casa sarebbero di 3,5 miliardi, il resto verrebbe dall'inasprimento fiscale sulle seconde abitazioni.
Sull'Irpef, abbiamo già detto che non è previsto un aumento delle aliquote, ma è concesso alle regioni la facoltà di aumentare l'addizionale dal massimo dello 0,9% all'1,23%.
Capitolo Iva. Qui, il discorso è un pò più complesso. La manovra prevede la possibilità di
aumentare le due aliquote più alte del 21% e del 10% di almeno due punti, portandole rispettivamente al 23% e 12%. Questo aumento potrebbe scattare dal prossimo 1 settembre, ma se non avverrà l'esercizio della delega fiscale, che prevede tagli lineari alla giungla delle detrazioni fiscali, che ogni anno sottrae risorse allo stato, calcolate in non meno di 165 miliardi di euro.
Saranno anche introdotte tasse e maggiorazioni per alcune categorie di beni. Le auto con cilindrata superiore a 170 CV dovrebbero pagare un super-bollo, mentre le barche oltre i dieci metri pagherebbero una tassa calcolata sul numero dei posti. Tassazione anche sugli aerei privati. Inoltre, i capitali «scudati» con il precedente condono sul denaro rimpatriato dall'estero saranno sottoposti ad un'aliq! uota aggiuntiva dell'1,5% del loro importo. Sul fronte dei tagli alla
spesa pubblica è da sottolineare in positivo lo snellimento delle province, con un massimo di 10 consiglieri e senza giunte. Inoltre verranno accorpati i vari enti previdenziali, che sarebbero assorbiti dall'Inps, Indpap inclusa. Anche i consiglieri delle authority dovrebbero passare dagli attuali 50 a 28.
Sarebbe, invece, reintrodotto l'Ice e creata un'altra authority per i trasporti pubblici locali.
Infine, non sarebbero più consentiti i doppi stipendi di ministri e sottosegretari. Stretta sul contante, con l'obbligo di fare transitare pagamenti sopra i 1000 euro su conti corrente o tramite assegni, in modo da essere tracciabili.
Riguardo al capitolo dedicato allo sviluppo, si prevede l'attivazione di un fondo di garanzia da 20 miliardi in favore delle Pmi, mentre si incentiverebbe la patrimonializzazione delle imprese fino a 3 miliardi nel 2014, con un meccanismo denominato Ace. Detrazione totale del costo dei neoassunti dall'Irap delle imprese per favorire, in particolare, l'occupazione di giovani e donne. Adesso dovrà essere il Parlamento a modificare, se lo ritiene, la manovra, entro tempi strettissimi, dato che dovrebbe essere esitata prima di Natale.
Il fronte sindacale sulle pensioni e gli attacchi alla riforma da parte della Cgil di Susanna Camusso hanno creato tensioni nel Pd, già nei giorni scorsi alle prese con il caso Fassina. Il partito di Bersani è stato sconfitto nella sua linea di richiesta di una imposta patrimoniale, che avrebbe tassato i risparmi di tutti gli italiani, dimenticando il segretario del Pd che i «proletari» italiani sono, anzitutto, proprietari. Democratici sconfitti anche nella loro volontà di rendere tracciabili i pagamenti sopra i 100 euro, che oltre a creare uno sconquasso del nostro sistema di pagamenti, avrebbe determinato un clima da «Grande Fratello» su ogni transazione tra privati e offerto un immenso regalo alle banche, le quali avrebbero controllato tutti gli scambi di moneta tra gli italiani.
L'attenuarsi della linea forcaiola contro il contribuente e il mancato inasprimento delle imposte
sul lavoro e sulle imprese lo si deve alla compattezza con cui il Pdl si è stretto intorno al suo segretario, oltre che al suo presidente Berlusconi. E non può finire qui. Ora il Pdl ha i numeri e la forza di attutire determinate misure fiscali, che rischiano di penalizzare ancora una volta il ceto medio. Prima del suo insediamento a Palazzo Chigi Monti discorreva sullo spostamento delle imposte dal reddito ai consumi. La manovra realizza una maggiore imposizione sui consumi e sui risparmi delle famiglie. In più riguardo alla riapertura della questione dello scudo fiscale, non giova alla credibilità dello Stato mettere in discussione il patto fiscale con il contribuente, quale che sia il giudizio su tali operazioni.
In un Paese dove ancora lo Stato spende 800 miliardi di euro, il 50% del Pil, si devono tagliare
determinate voci di spesa infruttuosa per creare le premesse per poter diminuire la pressione fiscale. Sappiamo che è un'operazione difficile in una fase come questa, ma solo il rilancio dei consumi interni, della produzione e dell'occupazione potrebbero determinare un sentiero di recupero della crescita italiana. Ma, per fare questo, è necessario un sistema fiscale più leggero e
meno oppressivo sui lavoratori e imprenditori. E' la battaglia storica del Pdl, che oggi acquista ancora più vigore.

[tratto da RagionPolitica]

- Con Berlusconi l'Italia era già nella giusta direzione
Nel 2012 l'Italia dovrebbe tornare in recessione, con un pil previsto in calo dello 0,5% sul 2011.
A certificarlo è l'Ocse, dopo che anche l'agenzia di rating Fitch, la scorsa settimana, aveva parlato di una probabile recessione già in corso nel nostro Paese. Le stime dell'organizzazione parigina sono allarmanti, perchè una crescita negativa, seppur di poco, rischia di fare saltare i conti pubblici, mettendo a rischio l'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013, anche se è la stessa Ocse che ancora mantiene in positivo il trend italiano del rapporto deficit/pil, il quale dovrebbe scendere dal 3,6% di quest'anno all'1,6% dell'anno prossimo, per sfiorare il pareggio (0,1%) tra due anni. Ma è ovvio che tutto ciò dovrà passare per un'ennesima manovra di bilancio, che è poi quella correttiva in corso da parte del governo Monti.
Nel suo rapporto sull'Italia, presentato pochi giorni fa, l'Ocse ha indicato nella riduzione della spesa la misura principale per giungere a ridurre il deficit e di conseguenza il debito sul Pil, non puntando tanto sull'aumento della già alta pressione fiscale. Al contrario, sia l'Ocse che la stessa Commissione Europea di Bruxelles hanno invitato l'Italia a perseguire essenzialmente politiche
strutturali che portino a una maggiore crescita dell'output, ossia della ricchezza o Pil, nonchè a misure di contenimento delle spese, soprattutto in determinati comparti laddove è molto alta e anomala.
Sul primo punto, ossia la crescita, sia Parigi che la lettera di Bruxelles e il conseguente rapporto del commissario agli affari monetari Olli Rehn parlano di risorse da liberare attraverso un piano complessivo di liberalizzazioni dell'economia, puntando ad una maggiore concorrenza ed efficienza dei servizi pubblici locali, a una riforma del mercato del lavoro che punti su una maggiore flessibilità dei contratti, oltre che in una manovra di riordino degli ordini professionali,
rendendo effettivamente libera la concorrenza tra i professionisti. Queste sono state le richieste della famosa lettera dei 39 punti dell'Europa, anticipata dalle raccomandazioni estive della Bce, che tanto clamore hanno fatto in Italia e tanta indignazione avevano suscitato tra le opposizioni; le stesse che oggi chiedono al neo-premier Monti di attuare quelle misure.
Le liberalizzazioni del lavoro, dei servizi e delle imprese nazionali, infatti, comportano non solo
una maggiore concorrenza, a beneficio dei consumatori, con prezzi inferiori e qualità superiore dell'offerta, ma nel tempo dovrebbe anche liberare energie e investimenti, stimolando la crescita e l'occupazione. Tra le altre misure per abbattere il debito l'Europa continua a premere per le privatizzazioni degli asset pubblici e su questo punto pare proprio che i margini siano molto
migliorabili, sia rispetto alle misure del precedente governo che di quello attuale. Fino ad oggi resta valido il piano di dismissioni annuali per 5 miliardi all'anno nel triennio 2012-2014, ma con i maggiori costi di rifinanziamento del debito, un miliardo in meno di beni privatizzati sarebbe uno spreco imperdonabile, se si pensa che il costo medio del debito rischia di tendere a un esplosivo 7% da meno del 5% fino a qualche mese fa.
Allo stesso tempo si richiede all'Italia una riduzione dell'oppressione burocratica sulle imprese,
con il commissario Rehn che ha rimarcato, nel suo rapporto della scorsa settimana, come il governo Berlusconi abbia assunto su questo fronte impegni e atti concreti maggiori di quanto promesso dall'esecutivo attuale. Anzi, la raccomandazione dell'Europa su questo punto è di attuare totalmente la riforma Brunetta (tanto contestata a sinistra!), che va nella direzione dello
snellimento della PA e di una sua maggiore efficienza.
E la lettera del commissario europeo alla Commissione è importante, perchè sostanzialmente
afferma che la base da cui bisognerà partire per Monti deve essere quella degli impegni e delle misure già approvate dal governo Berlusconi. Chi nelle scorse settimane ha parlato di non credibilità dell'ex premier oggi dovrebbe fare «mea culpa», cosa su cui, tuttavia, non ci permettiamo di sperare. Anche sul fronte delle pensioni le misure già attuate dal precedente governo sono state considerate più ambiziose di quanto la stessa Bruxelles aveva richiesto a Roma.
E' l'Ocse, invece, ad affermare che bisogna accelerare il processo di riduzione della spesa previdenziale, indubbiamente alta. Ma torniamo al problema dei problemi dei prossimi mesi: la recessione. Come già anche le stesse Ocse e Bruxelles dubitano, ci chiediamo se un aumento previsto della pressione fiscale non possa, addirittura, aggravare il calo del Pil, per effetto di minori consumi (si sottraggono risorse alle famiglie e si tassano di più i beni acquistati), di una minore attrazione di capitali, a causa di misure restrittive sull'uso del contante e per l'inasprimento previsto delle aliquote Irpef più alte (è un'ipotesi), oltre che in conseguenza di un'imposizione fiscale sul patrimonio delle famiglie, passando per la cosiddetta super-ICI.
Siamo sicuri che tassando molto di più le case, ossia il frutto principale dei risparmi degli italiani, si stimolerà la crescita? Se questa opzione resta valida nel caso in cui la spesa risultasse incomprimibile, spostare le imposte dal reddito ai consumi è un'operazione insensata per un'economia in cui lo stato spende ancora il 50% del Pil. Oltre tutto, il rischio reale è di imporre sacrifici ulteriori alle famiglie italiane, che potrebbero rivelarsi ancora una volta insufficienti
e anche inutili, nel caso il mercato continuasse a ritenere l'intera Eurozona come poco credibile. Il timore è che sia inutile varare ogni mese una manovra correttiva dei conti, se poi la cattiva gestione di Bruxelles si mangia in un sol boccone quanto abbiamo faticosamente cercato di risparmiare a Roma.
Se non verranno depennati senza indugio i criteri penalizzanti dell'Eba sui nostri titoli o se non si darà un avvio immediato e dalle funzionalità chiare al Fondo europeo di salvataggio, l'Efsf, la sfiducia degli investitori non farà che crescere e questo a prescindere da cosa si deciderà a Roma. E' stato lo stesso governatore della Bce, Mario Draghi, pochi giorni fa a strigliare i governi sulla enorme perdita di tempo sull'operatività dell'Efsf, che era stata già decisa e ampliata a luglio. Questa situazione di incertezza e di panico che terrorizza il nostro sistema bancario è alla base di una grave mancanza di liquidità, che sta trasponendo gli effetti della crisi finanziaria sull'economia reale, tramite una forte compressione dei prestiti per gli investimenti, i consumi e a sostegno della gestione ordinaria della vita delle imprese. C'è il serio peri! colo che tutto ciò porti a un effetto piuttosto depressivo sull'occupazione, aggravando una crisi sociale già acuta, dinnanzi alla quale i singoli governi sono impotenti.
Le ragioni della crisi stanno infatti a Bruxelles, e non nelle singole capitali europee. Gli investitori non nutrono fiducia sulla governance europea, che lo stesso Draghi, ha recentemente affermato essere la prima cosa a dovere essere riformata. E le parole di venerdì della Merkel al Bundestag non incoraggiano quanti auspicano soluzioni «forti» nell'Area Euro. Il cancelliere ha ribadito il suo no agli Eurobond, i quali sarebbero certamente inaccettabili e improponibili se slegati
da una contestuale richiesta di maggiore rigore fiscale, attraverso una sorveglianza più immediata e puntigliosa di Bruxelles. Ma i tedeschi sono contrari «tout court» a un'operazione, che renderebbe l'euro una moneta credibile, perchè darebbe il senso di un'unione monetaria coniugata ad un'unione fiscale. La Merkel ha parlato sì di unione fiscale, ma intesa nel senso di
obiettivi comuni più stringenti e coordinati, restando nazionali i mercati dei bond. Ferma anche l'opposizione di Berlino a un ruolo attivo della Bce, che i tedeschi vogliono che persegua come obiettivo unico la stabilità dei prezzi, mentre i francesi vorrebbero adottare il modello Fed.
Il punto centrale è che la Germania non ha fretta di risolvere la crisi dei mercati, perchè non ne è
coinvolta. I suoi titoli a un anno sono stati collocati due giorni fa a un tasso appena sotto lo zero; non accadeva dal 1995. In pratica, sono i risparmiatori a dare soldi allo Stato tedesco e non viceversa. E se i loro Schatz a due anni non superano lo 0,39% all'ultima asta, mentre i decennali sono sotto il 2%, è facile comprendere come la fuga degli investitori dai bond periferici e semi-periferici sia a vantaggio delle finanze di Berlino: il prossimo anno passerebbe da una crescita del 2,5% di quest'anno a una stagnante dello 0,6% del 2012. Per questo la Merkel è più interessata ad uno scenario di medio-lungo termine, che cioè non intacchi il potenziale di crescita del suo Paese, mentre nel breve gioca a tirare la corda il più possibile e ad incassare i magg! iori benefici da un
logoramento dei BTp e dei Bonos, fermandosi un attimo prima che l'impalcatura europea crolli. Sempre che indovini il momento in cui mollare.

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